Chiometro 0 / The Gallery Apart / Roma / 2019
Curatela di Porter Ducrist
27 Giugno 2019
Christophe Constantin / Marco De Rosa / Federica Di Pietrantonio / Chiara Fantaccione / Roberta Folliero / Andrea Frosolini
Viviamo in una società basata sull’immagine, dove la rappresentazione è più importante dell’essenza. In questa confusione tra significato e significante è quasi impossibile distinguere il reale dall’illusione. Visto che siamo tutti consapevoli che tutto è finzione, qual è il ruolo dell’arte in questo mondo? Ci possiamo nascondere dietro un moralismo che rende l’arte più un gioco di società che un messaggio ideologico o una ricerca del “giusto”. Cos’è l’arte? Nella banalità di questa domanda si può già intuire una risposta. L’arte è arte, perché indagare? È una certezza che non necessita di essere rimessa in discussione! Uno status quo che conviene a tutti, ma che non porta da nessuna parte, non vede un futuro perché non lo cerca. Forse è ripartendo dalla sua genesi che l’arte può continuare a svilupparsi, e quindi continuare a essere degna d’interesse.
Partiamo dall’idea assurda che l’arte tenti di non esserlo più. Che l’oggetto esposto al pubblico venga liberato da qualsiasi pretesa, messaggio o valore aggiunto. “Quello che vedi è quello che è”, la sfida di Frank Stella ripresa da Donald Judd. L’arte che estrae la realtà per rappresentarla al meglio, rimettendosi in gioco tramite la concretezza del banale. Non cercando nient’altro che un punto di inizio per ricostruirsi e ripartire, ma questa volta su basi più sane per cercare almeno di continuare ad andare avanti dopo uno stato di vegetazione minimalista ormai durato troppo tempo. Questo punto di inizio, questo “Chilometro 0” sembrerebbe impossibile perché non si può negare l’importanza della storia dell’arte e non lo si deve fare, ma rappresenta l’unico modo con cui l’artista può continuare a fare quello che ha sempre dovuto fare, interrogare lo spettatore rappresentando il proprio periodo storico.
Considerando la società odierna un sistema totalitario dominato dallo spettacolo, diventa difficile per un artista continuare a indentificarsi come creatore d’immagini, la tecnologia avendolo privato del suo monopolio. Se tutto è arte, niente lo è più. Dal niente si può trovare una bella pista di indagine, una fonte d’ispirazione, dal niente si può ripartire ed è dal niente che “Chilometro 0” cerca di interrogare lo spettatore. Quest’ultimo si trova immerso in un contesto in cui il suo ruolo è centrale quanto lo è quello degli altri attori del sistema “Arte”, dal gallerista al curatore, ognuno obbligato a rimettersi in gioco e a rappresentarsi. Ogni opera esposta cerca di dare forma in maniera concreta al compito specifico di ciascuno di questi protagonisti, al punto da collocare l’artista quasi in secondo piano così da mettere piuttosto maggiormente in luce quello che lo circonda. Il reale nell’arte è sicuramente tanto staccato dal reale quanto da tante altre cose, ma non lo rende comunque meno reale di altre realtà. È forse da questa frase senza capo né coda che “Chilometro 0” e gli artisti presentati in mostra cercano di rappresentare la società contemporanea, trasformando la galleria in una finestra aperta sul reale.
Porter Ducrist